Secondo le più recenti stime ogni anno in Italia un numero oscillante tra le 6 e le 12 persone ogni 100.000 abitanti riporta menomazioni permanenti, più o meno gravi, in conseguenza di una Grave Cerebrolesione Acquisita. Questi eventi patologici solo in un numero minimo di casi si risolvono rapidamente con un pieno recupero ed un ritorno alle condizioni di vita precedenti la loro insorgenza. Per tutti gli altri rappresentano l’inizio di un lungo periodo di cure, prima in ospedale e poi nelle strutture di riabilitazione, che sono talvolta il preludio ad una vita intera in condizioni di disabilità. |
Nonostante la sua
rilevanza, sia sul piano sanitario che sociale, l’attenzione a
questo tema risulta ancora ridotta, tanto da far parlare di una
“epidemia silenziosa”, e “invisibile”, dal momento che una volta che
i pazienti vengono dimessi dalle strutture di riabilitazione, spesso
i servizi ne perdono le tracce. |
Si è voluto,
allora, raccogliere e pubblicare alcune storie di malattia di
persone con Grave Cerebrolesione Acquisita e delle loro famiglie,
affinché possano essere una testimonianza corale del disagio e delle
difficoltà che queste incontrano nel faticoso tentativo di riaprire
il dialogo interrotto con la realtà circostante, ma anche del
coraggio quotidiano e della forza inaspettata che famiglie “normali”
riescono ad esprimere quando vengono travolte dal dramma di simili
eventi. |
In particolare,
dalla ricerca sono emersi alcuni nodi centrali che ci sembra debbano
essere evidenziati e rilanciati agli operatori e alle istituzioni
come oggetto di ulteriore riflessione e dibattito. |
Da questo punto di vista, il primo nodo critico è la mancanza di una
presa in carico chiara ed unitaria, da intendersi come un processo
ad elevata integrazione socio-sanitaria che garantisca la continuità
assistenziale, a partire dal verificarsi dell’evento fino alle fasi
successive al rientro a casa. |
Il secondo nodo critico, strettamente collegato al primo, è la mancata definizione di un percorso riabilitativo di lungo periodo, da monitorare costantemente ed adattare poi al modificarsi delle condizioni della persona o del contesto. |
La terza criticità
è l’insufficiente copertura di prestazioni sanitarie ed
assistenziali, queste ultime, in particolare, ben al di sotto della
soglia ritenuta congrua dalle famiglie per avere un sollievo
effettivo nelle loro responsabilità di cura. La richiesta che viene
avanzata è di incrementare la presenza di operatori che possano
assistere la persona malata, soprattutto nei casi più gravi, per
dare la possibilità al care giver di recuperare, almeno per qualche
ora al giorno, uno spazio per la propria vita personale. |
Quarto punto, che suona quasi paradossale in una società che viene definita come società dell’informazione: è la mancanza e la scarsa chiarezza delle informazioni. È amaro constatare come le famiglie fatichino a trovare le informazioni di cui hanno bisogno – e spesso ricevano informazioni scorrette o non complete - sia in merito alle agevolazioni, sia in merito alla possibilità di attivare uno specifico servizio (es. Umea, inserimenti lavorativi, ecc.). Per non parlare delle difficoltà di ordine burocratico, un fardello ulteriore che pesa in situazioni già profondamente segnate dalla malattia. |
Per concludere, ci sembra che le storie di malattia raccolte confermino come nel campo della non autosufficienza il sistema di welfare si delinei in termini residuali rispetto alla famiglia. |
D’altra parte, una
seria riflessione sulla famiglia, che sempre più spesso viene
responsabilizzata di fronte alla crisi del sistema di welfare, non
può prescindere da un’analoga riflessione sulle risorse comunitarie,
variamente intese. Quando è la famiglia nel suo complesso ad essere
pesantemente investita dal carico di cura, sia in termini emotivi
che organizzativi, non si può non tenere conto, infatti, della
presenza o meno di risorse economiche, relazionali ed umane, su cui
la stessa possa a sua volta fare affidamento. |
Sotto questo profilo risulta particolarmente evidente, nel caso italiano, il paradosso di un sistema che, da un lato, intende promuovere la domiciliarizzazione dell’assistenza, dall’altro, sconta la ridotta offerta di servizi residenziali e domiciliari, in un contesto di progressiva erosione del capitale sociale comunitario. |
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